Prima di tutto occorre evidenziare come la responsabilità civile del medico stia subendo, negli ultimi anni una profonda evoluzione. La relazione che va ad instaurarsi tra medico e paziente può essere definita come “relazione complessa” ove troviamo un rapporto cooperativo, dato che entrambi i soggetti tendono al raggiungimento di un interesse comune: la tutela del diritto alla salute previsto dall’art. 32 della Costituzione, come eminentemente teorizzato dalla professoressa Iamiceli.
Uno dei primi aspetti da porre in considerazione è quello del livello di diligenza a cui è tenuto il professionista, aspetto regolato dal nostro codice civile all’art. 1176. Il generale criterio previsto dal primo comma dell’articolo in questione è quello del cd. “buon padre di famiglia”; appare tuttavia chiaro fin da subito come questo non possa essere applicato anche nel caso di una prestazione a carattere medico, stante l’importanza e delicatezza delle circostanze di fatto
Il medico, infatti, nell’adempimento delle proprie obbligazioni è tenuto ad un livello di diligenza cd. qualificata che può riassumersi nel concetto di “perizia”, ossia quel complesso di regole tecniche e professionali espresse dal livello medio della categoria d’appartenenza, e dunque con il rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti che nel loro insieme costituiscono la conoscenza della professione medica.
Sarebbe in realtà più opportuno tenere distinti i due aspetti riguardanti perizia e diligenza, in quanto il primo meglio si confà al possesso di nozioni strettamente tecniche acquisite con l’esperienza e lo studio, mentre il secondo riguarda qualità soggettive dell’uomo-medico e che consentono la corretta applicazione delle nozioni tecniche (leggasi accortezza, zelo, scrupolosità).
Lo sforzo tecnico che caratterizza la perizia non può, tuttavia, non interessare anche gli strumenti materiali impiegati dal professionista nell’adempimento della propria obbligazione. Come confermato anche dalla Cassazione, con sent. 2466/95, infatti, potrebbe configurare una violazione della diligenza professionale anche il semplice utilizzo di una strumentazione non tecnicamente adeguata. Non potrebbe pertanto il medico, limitare la propria responsabilità alla diligenza richiestagli qualora si avvalesse di strumenti inadeguati.
Nel caso del medico, essendo qualificato come prestatore d’opera professionale oltre che intellettuale, viene in rilievo anche l’art. 2236 c.c., il quale pone una limitazione di responsabilità, circoscrivendola ai casi di dolo o colpa grave, ove il professionista si sia trovato di fronte a problemi tecnici di speciale difficoltà.
Tuttavia, secondo la giurisprudenza maggioritaria, la norma andrebbe applicata solamente qualora in discussione vi sia la perizia del professionista e dunque non nei casi di imprudenza o negligenza. Ove quindi i danni patiti dal paziente siano ricollegabili a negligenza o imprudenza il medico dovrà rispondere anche in caso di colpa lieve.
Altra, e diversa, problematica inerente la responsabilità sanitaria è quella inerente il contenuto della prestazione cui è tenuto il professionista, riguardo la distinzione tra obbligazione di mezzi e di risultato. Sintetizzando, le prime hanno ad oggetto solo un comportamento professionalmente adeguato, mentre le seconde il risultato stesso che il creditore ha diritto ad ottenere.
Secondo l’opinione prevalente, e storicamente maggioritaria anche se in via di mutamento, la prestazione medica (con le dovute eccezioni che si evidenzieranno) appartiene alla categoria delle obbligazioni di mezzi. Dunque al medico spetterebbe solamente l’obbligo di porre in essere un comportamento professionalmente e diligentemente adeguato, non essendo tenuto a far conseguire il risultato ultimo della guarigione, dato che questa è quasi sempre affetta da una componente più o meno aleatoria e legata al fato.
In ogni caso, negli ultimi anni, il progresso scientifico ha ampliato esponenzialmente le conoscenze mediche di base e conseguentemente le possibilità di guarigione. Risulta allora evidente come, nelle prestazioni mediche cd. di routine o di facile esecuzione, il mancato raggiungimento del risultato “guarigione” è indice di presunzione per la negligenza o l’imperizia del medico (con relativa contestazione di responsabilità), visto che, in questo tipo di interventi il dato di esperienza è tale per cui una condotta diligente e tecnicamente corretta consente la sicura realizzazione del risultato.
Volendo citare la massima della Suprema Corte “se l’intervento operatorio praticato dal chirurgo è di facile esecuzione, la dimostrazione da parte del cliente di un risultato peggiorativo, nel senso che le sue condizioni risultano deteriori dopo l’intervento rispetto a quelle preesitenti, è sufficiente a fondare la presunzione di non adeguata esecuzione della prestazione, gravando sul chirurgo fornire la prova contraria che l’esito peggiorativo fu causato dal sopravvenire di un evento imprevedibile”.
Essendo, forse, una delle eventualità più ricorrenti nella società odierna, è utile esaminare come sia regolata la responsabilità medica nel caso di un professionista che svolga la sua attività alle dipendenze di una struttura sanitaria, sia essa pubblica o privata. In prima battuta va sottolineato come il paziente, in ogni caso, stipuli con la struttura un cd. contratto di spedalità, che espone la stessa alla responsabilità contrattuale per inadempimento.
Come, invece, riguardo al medico che materialmente opera sul paziente? La Suprema Corte, con sentenza n.589/99, è giunta a qualificare la responsabilità del medico dipendente come contrattuale. A tale risultato si è arrivati estendendo l’ambito di operatività della responsabilità contrattuale e conseguentemente “creando” un rapporto contrattuale da “contatto sociale”.
Sostanzialmente, questo tipo di responsabilità, si fonda su un obbligazione basata sul contatto fisico e morale insistente tra il medico ed il paziente. Quindi, pur mancando in capo al medico dipendente un obbligo di prestazione nei confronti del paziente (che sussiste invece in capo alla struttura sanitaria con cui il malato ha stipulato il contratto di spedalità), egli sarebbe tenuto a rispondere degli eventuali danni cagionati per il semplice fatto di essere entrato in contatto col paziente.
Tale possibilità è ammessa da un’ampia interpretazione dell’art. 1173 c.c. sulle fonti delle obbligazioni, in quanto sono suscettibili di venire ad esistenza oltre che da contratto o fatto illecito, anche da qualsiasi altro atto o fatto idoneo a produrle.
In conclusione, la responsabilità della struttura sanitaria e del medico viene valutata unitariamente, evidenziando tuttavia con riguardo alla struttura l’inadempimento per l’obbligo di corretta esecuzione della prestazione (nascente dal contratto di spedalità), mentre, riguardo al medico, la violazione di un obbligo di comportamento (scaturente dal contatto sociale).